Fobia sociale, la paura del giudizio degli altri

In una società in cui la tecnologia si afferma giorno per giorno con l’intelligenza artificiale, computer parlanti, sistemi informatici e informatizzati, ci è richiesto sempre più spesso di avere come soft skill il cosiddetto Problem Solving, ossia quella capacità di risolvere problemi. Facile no?! La comodità è evidente: abbiamo più tempo per noi e per gli altri mentre la lavatrice o la lavastoviglie si spegne e si accende da sola con l’indice della nostra mano. Tutto a portata di mouse, a portata anche della nostra voce, automaticamente pronti a ridare il via ad un’altra istruzione da far eseguire alle macchine. Tutto ciò richiede meno l’intervento umano, dandoci lo spazio necessario per ideare, mettere in atto le nostre capacità di comunicazione. Eppure sembra che queste opportunità ci allontanino un po’ dalla nostra identità di animali sociali. Anzi, diventa una difficoltà, un limite che sembra ci distacchi ancora di più gli uni dagli altri, innescando paranoie… quasi come essere in un film dove la telecamera inquadra un solo focus: l’essere osservato da tutti.

Ma in che modo accade questo?

La storia di questo malessere, o meglio mal-di-vivere, si sarebbe manifestata nell’antichità fin dai tempi di Ippocrate, con sintomi caratterizzati da timidezza eccessiva, ansia ed evitamento sociale. Nulla di più recente, tranne per il fatto che oggi cambia nettamente epoca e la situazione sembra uguale. Ci sentiamo costantemente sotto attacco da mostri invisibili che la mente chiama a difendere il nostro guscio delicato da qualche evento catastrofico imminente. Perdiamo la voce mentre andiamo al lavoro o parliamo con gli amici; anzi più che parlare, ascoltare in background è la denotazione più consona a risolvere il nostro malessere. Ci nascondiamo dentro i nostri pensieri per evitare il disagio, e ci rifugiamo dove nessuno ci può banalizzare. Ma questo non ci mette a riparo da noi stessi, dai nostri algoritmi interiori ripetuti apposta per conformarci alla società perfetta, quella che crediamo essere il nostro giudice.

In un’epoca in cui domina la perfezione, è imprescindibile dover calcolare questo margine di errore. Da programma fedelissimo, oggi una macchina può imparare anche dai propri errori, ma per quanto riguarda noi stessi, ci si riscopre a lottare con qualche bug, una falla nella nostra sicurezza, vulnerabilità, la ‘paura’ che ha mandato in “cortocircuito” il sistema: se ne sta lì, silente, ad elencarti tutte le risoluzioni del caso, con qualche frame che si perde sullo schermo. La paura di sbagliare di fronte agli altri si consuma all’interno, le parole degli altri si imprimono nella nostra mente e fanno fatica a risolversi da sole. Calcolare tutto ciò oggi richiede tempo che non abbiamo, neanche quello: camminiamo distrattamente, taciturni, scrollando i nostri telefonini in cerca di qualche cosa di confortante che non interagisca direttamente con noi, creando così il nostro alibi per evitare interazioni. Eppure avendo quasi tutto a portata di click, andando oltre i limiti immaginabili, siamo ancora difettosi e goffi quando si tratta di relazioni umane. Ci chiudiamo, autoescludiamo quella parte più creativa e più bella di noi, non permettendo al nostro vero essere di sentirci strani di fronte all’altro, sdegnandoci con lo sguardo. Abbiamo creato la nostra estensione tecnologica nascondendo proprio il nostro modo più naturale di comunicare: conversare. Ora lo fanno i chatbot al nostro posto: “Come posso aiutarti oggi?”.

La vera domanda è: L’intelligenza Artificiale sarà mai capace di risolvere le nostre paure sociali? Oppure le alimenterà?

In un contesto come quello attuale, i problemi sono la regola, pertanto le competenze di problem solving sono ancora più importanti e lo saranno sempre di più. Dobbiamo ri-abituarci al contatto, anche al dialogo piuttosto entropico, che sarà spesso coniugato al nostro comportamento con gli altri, alla nostra reattività e resilienza. Quindi, perché sprecare parole nocive cosparse di rabbia gratuita per metterci in difficoltà o chiuderci al confronto con gli altri? Nell’insieme il futuro è incerto, ma siamo esseri in continuo cambiamento, dinamico ma non irreversibile, e la nostra creatività ed il nostro intuito sono essenziali in tal senso. Iniziamo una nuova metamorfosi “riprogammando” così anche i piani di vita sociale. Sta a noi scegliere di staccare la spina della paura, prima che ci porti direttamente al profondo esaurimento delle nostre energie, e pratichiamo l’empatia su larga scala…apriamoci agli altri!

Di: Carmen Heisu 5SMSI – A.S. 2023/2024

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