…ed anche questa esperienza è giunta al termine, e già si fa sentire la nostalgia…c’è chi parla di “mal d’Africa”, ma a noi è venuto il mal di Turchia!


Da poco io, altri quattro studenti e due professoresse siamo tornati dalla città di Tokat. Per sette giorni siamo stati ospitati a Zile, collaborando con due scuole turche e discutendo sulle Digcomp. Dopo essere entrati nella loro scuola, ci hanno mostrato la loro routine, che parte dalle 8 del mattino e finisce alle 16 del pomeriggio, dal lunedì al venerdì. Accanto alla scuola si trovava il dormitorio, nel quale gli studenti che abitano lontano possono alloggiare, e una mensa, dove noi ospiti abbiamo avuto il privilegio di assaggiare alcune specialità turche, tra cui lo yaprak sarma e il baklava.
Le lezioni nelle scuole in Turchia durano 40 minuti, e, tra una lezione e l’altra, gli alunni hanno delle pause; quando poi arriva il momento del pranzo, hanno un’ora di tempo per recarsi in mensa o nel giardino della scuola per mangiare.


Le scuole in Turchia tengono molto all’istruzione quanto alla religione, infatti le lezioni sull’Islam sono obbligatorie, hanno un’aula per pregare e viene anche richiesta come materia d’esame.
I ragazzi e i professori ci hanno accolto molto allegramente e gentilmente, aiutandoci quando avevamo problemi, senza mai trascurarci.
Ma passiamo al nostro programma.


Ogni mattina ci recavamo nella scuola, dove venivamo sempre sorpresi da attività di gruppo diverse, tra cui giochi online, video con green screen e presentazioni, tutto basato sulle Digcomp. Ogni gruppo aveva un argomento diverso su cui si basavano le attività da svolgere: Problem solving, Communication and collaboration, Safety, Information and data literacy e Digital content creation. Questi erano gli argomenti principali di tutto il progetto e della prima mobilità.
Con quali parole descrivereste voi un’esperienza del genere? Personalmente in questo momento per la testa mi frullano mille idee e concetti, ma riassumerei il progetto Erasmus con tre parole: unione, coraggio e avventura.


Ho usato la parola coraggio perché non è semplice, alla nostra età, uscire dall’ala protettiva dei nostri genitori e affrontare le giornate in una cultura, società e città diverse, come in questo caso Tokat, una delle tante città misteriose, affascinati e nascoste negli angoli dell’entroterra turco.
Al giorno d’oggi siamo abituati a trovare tutto pronto e come vogliamo noi, ma con questa esperienza ho capito che l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e lo dobbiamo affrontare senza tirarci indietro e fidandosi del nostro istinto.


Come ogni viaggio che si rispetti, anche questo non può che definirsi avventura.
Abbiamo percorso chilometri e chilometri in quei giorni per visitare luoghi che la vita solo una volta ti offre, sempre accompagnati da un pensiero fisso: rivedere i genitori! Sono bastati pochi giorni per capire che l’affetto di mamma e papà sono insostituibili!


In quei giorni abbiamo visto le più antiche costruzioni Romane, ammirato le grandi moschee di origine Ottomana e siamo addirittura arrivati all’attraente grotta di Tokat, in cui erano presenti enigmatiche rocce che sembrava fossero state lavorate dalla mano dell’uomo…in realtà è un po’ così, in quella cavità c’è stato il tocco di Madre Natura!


Un’altra meraviglia sono stati i piccoli musei, ognuno dei quali raccontava un pezzo di storia, molto importante nella loro cultura.


I miei amici turchi sono grandi amanti della disciplina e la rispettano in ogni sua forma, per loro è così importante che ogni giorno la ringraziano perché li ha portati a ciò che sono oggi.
Nelle loro scuole troviamo dei poster nelle varie aule, che contengono personaggi e simboli di coloro che li hanno portati alla libertà.
Una cosa che spero verrà inserita nella nostra cultura è quella di cantare l’inno nazionale all’inizio e alla fine di ogni giornata scolastica.


Nella scuola in cui eravamo ospitati, il Preside all’inizio e alla fine delle attività scolastiche, richiamava i docenti e gli studenti sull’attenti, ed essi, a loro volta, si immobilizzavano e iniziavano a cantare l’inno.
La prima volta che li ho visti fare una cosa del genere sono rimasto molto colpito; nei loro occhi vedevo l’orgoglio che provavano per la loro patria, da quel semplice gesto si percepiva che sono molto uniti come popolo e cercano di fare qualcosa per migliorarsi sempre più. Tutto questo, a malincuore lo devo dire, non lo vedo nel mio paese.


Questa esperienza mi ha aiutato moltissimo a comunicare con le altre persone in lingua inglese e mi ha fatto capire che non è importante l’accento o la pronuncia, ma che è importante provarci.
Prima di questa avventura parlare inglese mi pesava un po’, perché vedevo le altre persone che avevano un accento e un modo di parlare molto fluido e io mi sentivo inferiore. Ma, una volta entrato in contatto con le ragazze e coi ragazzi turchi, ho capito che bisogna buttarsi e parlare di getto, senza soffermarsi sul lessico o sulle espressioni idiomatiche, bisogna essere liberi di esprimersi, perché nessuno è lì per giudicarti.


Tutte le persone che ci circondavano in quella settimana erano sempre a disposizione per aiutarci in qualsiasi momento, senza mai voltarci le spalle o mostrare insofferenza.
In questo momento uso spesso il termine persone, ma vi assicuro che ognuna di loro ha un’identità precisa con delle specifiche caratteristiche fornite direttamente dalla loro cultura.

Di: Klevin Kasmi 4AC – A.S. 2023/2024

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