Rhea viveva in un paese grigio e sintetico.
Sprofondava nel disagio ogni volta che era costretta ad attraversare le sue strade.
I suoi viali, infatti, erano calcati da volti smarriti e rapiti dal tempo mal misurato.
Anche il cielo a volte si rifiutava di apparire azzurro. Un ambiente così deforme da abbuffarsi delle personalità che lo abitano.
Rhea, una ragazza abituata a guardarsi allo specchio, un giorno si accorse che il suo viso stava cambiando colore.
Un colore che tendeva alla polvere, quasi opaco. Somigliava tanto a quell’aria ferrigna della sua città.
In quell’istante si sentì mancare il fiato.
Il suo peggior incubo si stava attuando, quel luogo stava per assaporare il suo intatto viso niveo.
Rimase così impietrita da decidere spontaneamente di abbandonare la sua adorata stanza, per piombare in quei vicoli da lei sempre evitati.
Volle conoscere da vicino in cosa si sarebbe trasformata.
Si diresse tra le fosche e umide pareti di quell’invisibile città, cercando disperatamente un colore che non le ricordasse la cenere.
Ma le case, i parchi, le macchine, i discorsi…emanavano solo del misero fumo, perfino quei minuscoli fiori che si intravedevano dalle finestre dei palazzi si ritraevano disidratati.
Nulla sembrava avere una propria immagine, era stato tutto inghiottito e rovesciato nel grigiore di quel melenso luogo.
Rhea avanzò senza più una meta, con i vestiti impregnati dall’odore dell’asfalto e abbandonò la speranza di riuscire a salvarsi dall’essere deglutita anch‘essa.
Ma, con la nebbia della disperazione che le appannava la vista, non si accorse che il cielo sopra di lei stava cambiando.
Il grigio si stava mescolando con il blu e delle piccole briciole di luce stavano timidamente uscendo.
Rhea, presa dalla tristezza, si stava perdendo il cambiamento.
Le venne in aiuto il suo corpo stanco che cedette a terra dal bruciore, costringendola finalmente a guardare in alto.
Sdraiata, con gli occhi in su, Rhea vide il blu.
Un colore freddo ma autentico che esaltava la bellezza eterea della luna.
Le nuvole apparivano addensate e le stelle giocavano a disegnare figure geometriche e celestiali.
In quell’attimo, Rhea si rese conto di non aver mai osservato realmente il cielo e se stessa.
Quella sera, infatti, il cielo le aveva ricambiato lo sguardo regalandole il suo vero aspetto.
Rhea non sentì più dolore, quel blu aveva guarito ogni angolo del suo corpo.
Si alzò incuriosita, a cercare qualcosa con cui specchiarsi.
Era finita in una piccola selva poco dopo il suo paesino, ignara che potesse esserci qualcosa di vivo oltre le sue mura di casa.
Quando vide uno stagno in lontananza, si precipitò a riflettersi.
La luna illuminava l’ acqua e lei poté vedere nuovamente il suo viso.
Riconobbe la sua pelle, di un bianco perlaceo.
Il movimento dell’acqua non alterava i suoi lineamenti e le sue guance rossastre erano in tinta con le sue calze.
Non aveva mai notato quei piccoli nei attorno alle sue labbra e nemmeno la forma rettilinea del suo sopracciglio sinistro.
Le sue pupille erano dilatate come buchi neri mentre si guardava.
Si chiese con quali occhi si fosse considerata prima di allora.
Forse con occhi fabbricati, forse con gli sguardi allevati di una vitrea città che aveva smesso di respirare aria pulita, e lei I‘aveva permesso.
Si era lasciata misurare da un luogo prosaico e distante anni luce dalla sua natura.
Non aveva mai concesso al silenzio di contemplarla, a quell’area innocente di vestirla.
In quel silenzio, Rhea sentì il mondo fermo, sospeso ad osservarla assieme a lei.
Il cielo aveva concepito per lei un nuovo volto. E finalmente si vide per la prima volta.
Carmen Vizzutti, 5SI